La mia storia.

Dal Bronx alla Bocconi

Sono nato a New York City, per essere precisi, a Manhattan. I miei parenti abitavano a Manhattan, the Bronx, Brooklyn, Queens e Staten Island, cioè, nella città di New York. Nascere in una città di questa dimensione vuole dire varie cose. Per prima, vuol dire che impari molto velocemente a dialogare con chiunque: dal venditore di hot dog per strada, o il drogato che ti cade addosso in metrò al Direttore Artistico del The New York Times o Fortune Magazine. La città di New York è intensa e quando crescevo io, negli anni ’50, era anche una città piuttosto violente. Uno era sempre costretto a valutare in una frazione di un secondo dove stava una minaccia potenziale oppure un’accoglienza. A New York, si dice che uno è street smart.

Mio padre, e mio nonno paterno, erano pescivendoli. In realtà, mio nonno, Giuseppe Carmine Rozzo, era un pastore, nato e vissuto nelle montagne di Irpinia, a Mugnano del Cardinale alla fine del ‘800. Ma quando è emigrato in America, al inizio del ‘900, il suo fratello e cugino lavoravano già nel mercato del pesce, e visto che mio nonno parlava solo dialetto (non ha mai imparato né l’italiano né l’inglese), li ha seguiti nella loro attività. Anche mio Padre, che voleva fare il musicista, è finito a vendere pesce.

Mi sono laureato in Belle Arti alla Rhode Island School of Design all’inizio degli anni ’70. Ero un hippy. Ero contro la guerra in Vietnam. Vivevo con la mia ragazza e volevo scappare dagli USA. Scappare da un consumismo sfrenato attorno a me, scappare da una guerra insensata, scappare da una città troppo competitiva per le mie insicurezze. Sono scappato… in Italia.

Sono venuto in Italia con la mia ragazza e, sia lei che io volevamo vivere in campagna. Attraverso conoscenze, siamo arrivati in un paesino della Liguria, sopra Carrara, contornato da bosco. In realtà, era un posto abbastanza inospitale: un vero borgo medievale con i soliti sguardi sospettosi e molta diceria fantastiche sul nostro conto. Vivevamo nei boschi, in una capanna abbandonata, in mezzo alle colline, senza una strada, senza luce e acqua. Potete ben immaginare cosa si dicesse nel paese di noi.

Quel periodo, un po’ folle, è durato meno di due anni.La nostra coppia non ha resistito a tutta questa pressione, lei è tornata subito in America e io, di nuovo da solo, non volevo restare là nei boschi. Allora, sono venuto a Milano. Non conoscevo veramente nessuno. Con la mia laurea sotto braccio e la voglia di capire in che mondo vivevo, ho iniziato a fare l’assistente a tre fotografi di moda.

Mi piaceva da matti la fotografia di moda, ma non apprezzavo il mondo che la circondava. Quindi, dopo vari tentativi di inserirmi nel mondo della fotografia professionale, ho aperto uno studio con due amici italiani. Facevamo la pubblicità e dopo poco ci è pervenuta una richiesta di fare una brochure per una piccola azienda vicino a Lecco.Sono iniziati così più di trent’anni di lavoro per l’industria e per le aziende. Dai primi lavori per piccole aziende, sono passato velocemente alla Fiat, IBM Italia, Magneti Marelli, Pirelli, Italtel, Alitalia e altri.

Dopo svariati anni di intenso lavoro, anni entusiasmanti, anni di viaggi sempre per clienti in tutta l’Europa. Sono stato chiamato da Fortune Magazine e Business Week. Poi, vicissitudini personali mi hanno cambiato la vita.

Mi sono ritrovato a insegnare, a condividere le mie esperienze con fotografi più giovani e con un management un po’ impreparato ad affrontare il mondo delle immagini. Prima con IBM in Belgio, tenevo conferenze sul come gestire l’immagine e gli image-makers, poi l’avventura con il Sovrintendente alle Belle Arti di Milano, Carlo Bertelli, nel creare il programma Brera Fotografia, poi allo IED di Milano dove ho ricoperto la carica di Direttore del Dipartimento di Fotografia per quasi dieci anni. In seguito ho ottenuto la Cattedra di Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Bergamo sotto la guida di Mario Cresci. Si sono, poi, seguiti anni di studio personale, approdando agli inizi degli anni 2000 alla Bocconi prima con interventi sulla semiotica dell’immagine, poi, in un corso tutto mio sul Cinema e le Teorie Sociali.

Contemporaneamente, ho gestito per quasi quattro anni un mio studio di Corporate Communications, ho vinto dei premi, ma ho deciso di chiudere lo studio per ritornare a lavorare per conto mio. Stavo diventando un gestore di lavori altrui  e questo non mi piaceva.

Da allora, sono passati quasi 20 anni: anni di cambiamenti epocali, sociali, tecnologici, politici, personali. I cambiamenti sono stati per me l’adrenalina pura. Ogni sfida, ogni cambiamento mi ha costretto a capire di più, provare nuove tecnologie, nuovi metodi, nuove idee.

Oggi, sono arrivato al punto in cui uso tutte queste esperienze. Ho capito i meccanismi dietro i processi innovativi, ho capito il ruolo della leadership e, soprattutto, il ruolo dello storytelling nel comunicare con gli altri. Amo questo Paese e dedico i miei sforzi perché qualsiasi azienda, grande o piccola, possa essere più internazionale e riesca a comunicare a livelli alti utilizzando la semiotica e lo storytelling, aiutando ogni attività a trovare il proprio spazio nella platea del mondo in continua evoluzione.  

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